Sarà per la bellezza degli inizi

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La mia è da sempre una storia di inizi. E quindi di addii. Ogni inizio prevede uno strappo, un’evoluzione lenta o immediata in altro. La mia storia ne ha visti tanti di questi processi. Oggi voglio parlare dell’inizio, una di quelle parole usate tantissimo nella poesia e nella letteratura e che mi ha accompagnato nella maggior parte dei miei nuovi percorsi, ricordandomi del gusto della novità, anche se comporta la chiusura di un’altra porta.

Vi riporto alcuni esempi di testi che ogni volta mi fanno tornare lì, all’ebbrezza dell’inizio e allo stesso tempo allo spavento (umano) di sapere che ci tocca ripartire e rimetterci in gioco.



”L'unica gioia al mondo è cominciare. È bello vivere perché vivere è cominciare, sempre, ad ogni istante. Quando manca questo senso – prigione, malattia, abitudine, stupidità, – si vorrebbe morire.”

CESARE PAVESE - Il mestiere di vivere


“C'è nel mattino - sarà
per quella luce - una sottile ebbrezza
sarà per la bellezza
degli inizi - quella promessa
che sempre si nasconde
quando s'avvia un nuovo
qualche cosa.
Sarà il bello
di cominciare
con tutta l'energia rappresa
ancora intatta in gocce
tutta sospesa sopra il fare nostro.”

MARIANGELA GUALTIERI - Quando non morivo


Sarà per questa “promessa” di cui ci parla la Gualtieri che siamo costantemente in attesa di qualcosa? L’inizio è forse il primo passo per avvicinarci a questo qualcosa, a questo senso di libertà e di gusto della vita al quale allude Pavese quando scrive che senza la gioia del “cominciare”, “si vorrebbe morire”. Ma forse non basta questa novità a tenerci in vita e si spera di non cessare di guardare le cose non più nuove come se lo fossero sempre. Le parole che forse spiegano meglio questo concetto sono le seguenti di Lindaman:

“Uno dei momenti di maggiore appagamento nella vita è quella frazione di secondo in cui ciò che è noto assume d’un tratto il sapore sorprendente del profondamente nuovo… Queste scoperte sono troppo infrequenti, addirittura rare: per la maggior parte del tempo rimaniamo impigliati nel banale, nell’insignificante. Ma ecco la grande sorpresa: proprio ciò che sembra banale e insignificante costruisce la materia di cui è fatta quella scoperta. La vera differenza sta nel nostro atteggiamento, nella nostra disponibilità a mettere insieme i pezzi in un modo totalmente nuovo e a vedere un disegno dove un attimo prima non vedevamo che ombre.”

EDWARD B. LINDAMAN - Thinking in Future Tense


Mi chiedo che alternanza tra nuovo e stabile serva all’essere umano per trovare la pace di cui ha bisogno. Soprattutto, nel mio caso, mi chiedo quando potrà arrivare quel senso di appartenenza che ovviamente sfugge dal momento che serve chiudere una porta per aprirne un’altra. Immagino che per Pavese l’appartenenza alla sua terra (tema ricorrente in tutte le sue opere) fosse questo punto stabile, di ritorno costante anche quando si intercettano e attraversano nuove vie. Sono d’accordo che “un paese ci vuole”, ma è questo che fa sì che l’inizio sia sempre una scoperta? Sapere dove tornare?

Non cercherò di rispondere a questa domanda in quanto si tratta di una domanda che forse mi/ci porteremo avanti tutta la vita. Intanto, ogni commento è un inizio ed è quindi ben accetto.

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